Showing posts with label citazioni. Show all posts
Showing posts with label citazioni. Show all posts

24 September 2017

L'anima /9

 
Mentre seduto nel banco fissava calmo il viso severo e astuto del rettore, la mente gli serpeggiava dentro e fuori i sottili quesiti che si proponeva. [...] Se un laico nel battezzare versa l’acqua prima di dire le parole, è battezzato il bambino? E’ valido un battesimo somministrato con acqua minerale? Com’è che, mentre la prima beatitudine promette il regno dei cieli ai poveri di spirito, la seconda beatitudine promette anche, ai miti, il possesso della terra? Perché il sacramento dell’eucaristia fu istituito sotto le due specie del pane e del vino, se Gesù Cristo è presente, carne e sangue, anima e divinità, nel solo pane e nel solo vino? Una piccolissima particola del pane consacrato contiene tutto il corpo e il sangue di Gesù Cristo o ne contiene soltanto una parte? Se il vino si muta in aceto e l’ostia si corrompe dopo la consacrazione, Gesù Cristo è ancora presente sotto le loro specie come Dio e come uomo?
 
James Joyce, Ritratto dell’artista da giovane
 
 

01 May 2017

L'anima /8

 
[…] alla sua età al ginnasio si son letti Goethe, Schiller e Shakespeare, e forse addirittura i moderni. E queste letture, mal digerite, rivengono fuori in tragedie di argomento romano o in liriche sentimentali, rivestite di periodi lunghi pagine intere oppure nella delicatezza di pizzo di frasi continuamente interrotte: tutte cose in sè assolutamente ridicole, ma di inestimabile valore per quanto riguarda la sicurezza dello sviluppo. Infatti, queste associazioni estrinseche, questi sentimenti presi in prestito aiutano i giovani a superare il pericoloso e cedevole suolo spirituale di quegli anni in cui si sente di dover significare qualcosa per se stessi, ma si è ancora troppo immaturi per significare davvero qualcosa. Non importa che in seguito nell’uno rimanga qualcosa di questo e nell’altro nulla; a quel punto ciascuno avrà già fatto i conti con se stesso, e il pericolo sussiste solo nell’età di passaggio. Se si potesse mostrare a uno di quei giovani quanto è ridicola la sua persona, gli mancherebbe il terreno sotto i piedi, oppure precipiterebbe come un sonnambulo svegliato di colpo, che all’improvviso non vede intorno a sè altro che il vuoto.
 
Robert Musil, Il giovane Törless
 
 

12 February 2017

L'anima /7

 
* Le illusioni per quanto sieno illanguidite e smascherate dalla ragione, tuttavia restano ancora nel mondo, e compongono la massima parte della nostra vita. E non basta conoscer tutto per perderle, ancorché sapute vane. E perdute una volta, né si perdono in modo che non ne resti (214) una radice vigorosissima, e, continuando a vivere, tornano a rifiorire in dispetto di tutta l’esperienza, o certezza acquistata.
 
Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, 213-214
 
 

25 November 2016

L'anima /6

 
Quella divisione del lavoro esisteva anche nello stesso Arnheim. Quando in uno dei suoi uffici direttoriali esaminava un bilancio preventivo si sarebbe vergognato di ragionare altrimenti che da mercante e da tecnico; ma appena il denaro della ditta non era più in gioco si sarebbe vergognato di non ragionare nel modo opposto e di non proclamare che l’uomo dev’essere reso idoneo a elevarsi per una strada diversa da quella ingannevole della metodicità, della regola, dell’unità di misura e simili, i cui risultati sono affatto esteriori e in ultima analisi senza importanza. Non v’è dubbio che quell’altra strada si chiama religione; egli aveva scritto libri sull’argomento. In quei libri l’aveva chiamata anche mito, ritorno alla semplicità, regno dell’anima, spiritualizzazione dell’economia, essenza dell’azione e via discorrendo, perché la cosa aveva molti aspetti; a guardar bene aveva tanti aspetti quanti egli ne vedeva in sé quando s’occupava obiettivamente di se stesso come deve fare un uomo che ha dinanzi grandi missioni da svolgere. Ma evidentemente era destino che quella divisione del lavoro crollasse nell’ora della decisione. Nell’attimo in cui voleva gettarsi nelle fiamme del suo sentimento o sentiva il bisogno di essere così grande e indiviso come le figure delle età remote, così incurante come può esserlo soltanto il vero patrizio, così schiettamente religioso come esige l’essenza dell’amore profondamente intesa, nell’istante cioè in cui senza riguardo al suo avvenire e ai suoi calzoni stava per precipitarsi ai piedi di Diotima, una voce gli ordinava di arrestarsi. Era la voce della ragione, inopportunamente ridestata, oppure, com’egli si diceva irritato, la voce dei conti e dei calcoli che oggi s’oppone dappertutto alla grandezza della vita, al mistero del sentimento. Egli la odiava e nello stesso tempo sapeva che essa non aveva torto. Perché, ammesso che si potesse dire «luna di miele», quale forma di vita con Diotima sarebbe venuta fuori alla fine della luna di miele? Lui sarebbe tornato ai suoi affari e insieme con lei avrebbe affrontato gli altri doveri della vita. Avrebbero trascorso il tempo in un avvicendarsi di operazioni finanziarie e riposi in seno alla natura, nella parte animale e vegetativa dell’Io. Forse sarebbe stato possibile un connubio profondo e veramente umano di attività e quiete, di necessità mondane e di bellezza. Tutto questo era molto bello, egli lo vagheggiava come una meta, e secondo Arnheim non possedeva la forza di compiere grandi operazioni finanziarie chi non conosceva l’evasione, la distensione assoluta, lo starsene fuori dal mondo, diciamo così con nient’altro che un perizoma intorno ai fianchi: ma una selvaggia tacita soddisfazione gli urgeva dentro, perché tutto ciò era in contrasto con il sentimento iniziale e finale che Diotima suscitava in lui. Ogni giorno, quando vedeva quella statua classica con rotondità piacevolmente moderne, cadeva in un gran turbamento, gli mancavan le forze, sentiva un’impossibilità di allogare nella propria anima quell’essere equilibrato, serenamente rotante in armonia con se stesso. Quello non era più un sentimento né tanto né poco umano. Aveva in sé tutto il vuoto dell’eternità. Arnheim contemplava la bellezza dell’amata con uno sguardo che sembrava averla cercata già da mille anni, e ora che l’aveva trovata era improvvisamente senza occupazione; da ciò un’incapacità che portava i segni inconfondibili di uno stupore, di uno sbigottimento quasi idiota. Ormai il sentimento non dava nemmen più risposta a quella sollecitazione esorbitante, che in fondo non si poteva paragonare ad altro che al desiderio di farsi sparare insieme nello spazio da un pezzo d’artiglieria.
 
Robert Musil, L’uomo senza qualità, capitolo 106
 
 

07 October 2016

L'anima /5

[...] sebbene sia possibile che l’intero non sia semplicemente la somma delle sue parti separate, il suo comportamento può, almeno in linea di principio, essere compreso conoscendo la natura e il comportamento delle sue parti, nonchè il modo in cui esse interagiscono. [...]
Una molecola di benzene è costituita da sei atomi di carbonio disposti simmetricamente a formare un anello, con un atomo di idrogeno attaccato a ciascun atomo di carbonio, orientato verso l’esterno dell’anello. Fatta eccezione per la massa, le proprietà di una molecola di benzene non sono in alcun modo la semplice somma aritmetica di quelle dei suoi dodici atomi costituenti. Ciò nondimeno, se sappiamo in che modo queste parti costituenti interagiscono fra loro, è possibile calcolare il comportamento del benzene - ad esempio proprietà come la sua reattività chimica e l’assorbimento della luce - anche se per far questo si deve ricorrere alla meccanica quantistica.
Stranamente, sebbene nessuno tragga alcuna soddisfazione mistica affermando che «la molecola del benzene è ben più della somma delle sue parti», fin troppe persone toccano il cielo con un dito quando riescono a fare asserzioni simili riguardo al cervello, annuendo gravemente col capo.
 
Francis Harry Crick, La scienza e l'anima. Un'ipotesi sulla coscienza,
traduzione italiana di The Astonishing Hypothesis. The Scientific Search For The Soul.
 
 

12 August 2016

L'anima /4

 
«Anche lei è un dottore della legge» egli disse titubante; «saprebbe forse spiegarmi che cosa vuol dire “un uomo che ha anima”?» [...] Poiché Ulrich non rispondeva, egli continuò. «Quando si dice “un’anima buona” s’intende una persona onesta, sincera, che fa il suo dovere; uno dei miei capiufficio è proprio così: ma infine si tratta di una qualità da inferiori! Oppure l’anima è una qualità delle donne: all’incirca come dire che piangono e arrossiscono più facilmente degli uomini...» [...] Meditò un poco. «Lei non è mai andato da un’indovina? Sanno leggere l’avvenire nella mano o in una ciocca di capelli, qualche volta in maniera stupefacente; è un dono o un trucco, non so. Ma può lei immaginare qualcosa di sensato quando un tale viene a raccontarle, per esempio, che i segni annunciano l’avvento di un’èra nuova in cui le nostre anime si vedranno quasi senza mediazione dei sensi? Aggiungo subito,» integrò in fretta, «che questo non va inteso soltanto letteralmente; oggi che siamo già nella fase di risveglio dell’anima, se lei non è buono, lo si riconosce molto più chiaramente che nei secoli passati! Lei ci crede?»
Con Tuzzi non si sapeva mai se il pungiglione era rivolto contro se stesso o contro l’interlocutore, e Ulrich a ogni buon conto rispose: «Al posto suo mi rimetterei alla prova sperimentale!»
«Non scherzi, mio caro; è sleale quando ci si trova al sicuro,» si lamentò Tuzzi. «Ma mia moglie pretende che io capisca sino in fondo simili massime, anche se poi non dovessi approvarle, e io sono obbligato a capitolare senza potermi difendere. Così in questo brutto frangente mi son ricordato che anche lei è un interprete delle Scritture...»
«Le due affermazioni sono di Maeterlinck, se non erro,» suggerì Ulrich.
«Ah sì? Di...? già, può essere. È quel...? Benissimo; forse è quello stesso che dice che la verità non esiste? Tranne per chi ama, egli dice. Se amo una creatura, devo immediatamente partecipare a una Verità misteriosa più profonda che quella d’ogni giorno. Invece se noi affermiamo qualcosa sulla base di una precisa osservazione e conoscenza dell’uomo, naturalmente sarà senza valore. Anche questo pare che l’abbia detto quel Mae... quel tale?»
«Davvero non saprei. Può darsi. Mi pare probabile.»
«Io m’ero fitto in capo che l’avesse detto Arnheim.»
«Arnheim ha preso molto da lui, e lui molto da altri; sono entrambi eclettici di notevole ingegno.»
«Davvero? Son cose vecchie, dunque? Allora mi spieghi, per l’amor di Dio, come si possono stampare oggi simili cose?» implorò Tuzzi. «Quando mia moglie mi dice: “L’intelligenza non dimostra nulla, i pensieri non giungono fino all’anima!” oppure: “Al di sopra dell’esattezza c’è un regno della saggezza e dell’amore, che le parole mediate possono soltanto profanare!”: io capisco come ciò accada; lei è una donna e in tal modo si difende contro la logica maschile! Ma un uomo come può fare simili affermazioni?» Tuzzi venne più vicino e posò una mano sul ginocchio di Ulrich: «La verità nuota come un pesce in un principio invisibile: appena la si tira fuori, ecco ch’è morta: lei che ne dice? Questo non si ricollega alla differenza fra erotismo e sessualità?»
Ulrich sorrise: «Vuole davvero che glielo dica?»
«Ardo dall’impazienza!»
«Non so come incominciare.»
«Lo vede! Fra uomini certe cose non si riesce a dirle. Se lei però avesse un’anima, adesso considererebbe e ammirerebbe semplicemente l’anima mia. Noi giungeremmo a un’altezza dove non vi sono né pensieri, né parole, né azioni, bensì forze misteriose e un silenzio sconvolgente. A un’anima è permesso fumare?» egli domandò e si accese una sigaretta;
[...]
E ascoltava Ulrich che gli diceva: «Vorrei suggerirle di riflettere a quanto segue. In noi s’alterna di solito un afflusso e deflusso della vita vissuta. Le commozioni che si formano in noi sono suscitate dall’esterno e tornano a uscire sotto forma di azioni o parole. Se lo può immaginare come un gioco meccanico. E poi supponga un guasto: non crede che vi sarà un ristagno? Un’uscita dagli argini? In certe condizioni potrebbe anche essere soltanto un gonfiore...»
«Lei almeno parla ragionevolmente, anche se sono assurdità,» commentò Tuzzi in tono elogiativo. Non aveva capito subito che lì stava davvero sbocciando una spiegazione, ma serbò il proprio contegno dignitoso e mentre di dentro si perdeva nell’angoscia, sulle sue labbra il piccolo sorriso maligno era rimasto lì così fiero che egli ben poteva tornare a rintanarsi nella sua perplessità.
«Se ben ricordo, a detta dei fisiologi,» continuò Ulrich, «ciò che noi chiamiamo azione cosciente consegue del fatto che lo stimolo, per così dire, non affluisce e defluisce semplicemente attraverso un arco riflesso, bensì è costretto a fare un giro; e allora il mondo che noi sperimentiamo e il mondo in cui agiamo, sebbene ci sembrino la stessa identica cosa, somigliano in realtà alle acque di afflusso e di deflusso in una roggia di mulino, collegate da una sorta di “stagno della coscienza” dalla cui altezza e vigore dipende la regolamentazione appunto del flusso e del deflusso. O in altre parole: se a uno dei due capi si verifica un guasto, un disgusto del mondo o una ripugnanza all’azione, non si potrebbe ragionevolmente supporre che in tal modo si formi anche una seconda coscienza, superiore, più alta? O lei crede di no?»
«Io?» esclamò Tuzzi. «Be’, devo dire che mi par proprio indifferente. I signori professori si risolvano pure il problema fra di loro, se lo reputano importante. Ma sotto l’aspetto pratico...» egli schiacciò penosamente la sigaretta nel portacenere e poi alzò gli occhi irritato, «sono gli uomini con due ingorghi o quelli con uno solo che definiscono il mondo?»
«Credevo che lei desiderasse sapere da me come mi figuro la genesi di simili pensieri.»
«Se per caso lei me l’ha detto, confesso che purtroppo non l’ho capito,» rispose Tuzzi.
«Ma è semplicissimo: lei non possiede il secondo ingorgo, dunque non possiede il principio della saggezza e non capisce una parola di quel che dicono gli uomini che posseggono un’anima. E allora non mi resta che congratularmi con lei!»
[...]
«Tutte le frasi che lei mi ha citato sono naturalmente delle allegorie,» riprese Ulrich dopo quell’interruzione, [...] «Una specie di linguaggio delle farfalle! E la gente come Arnheim mi fa l’impressione di trincare quel nettare quasi etereo a crepapancia. Cioè [...] è proprio lui, Arnheim, che mi fa quest’impressione, come pure quella ch’egli porti la sua anima nella tasca interna della giacca come un portafogli!»
 
Robert Musil, L’uomo senza qualità, parte terza, capitolo 16
 
 

06 July 2016

L'anima /3

 
Certi suoi scritti sono un po' come dei pic-nic, in cui l'autore mette le parole e il lettore il senso[1].
Georg Christoph Lichtenberg (scienziato del XVIII secolo)
a proposito di Jacob Boehme (mistico del XVII secolo)
 

[1] his [Böhme's] writings, Lichtenberg says, are "a sort of picnic, where the author supplies the words (the sound) and the reader the meaning" (Schriften und Briefe, I:E 104) — David E. Wellbery, Hans Ulrich Gumbrecht, Anton Kaes, Joseph Leo Koerner, Dorothea E. von Mücke: A New History of German Literature
 

16 June 2016

L'anima /2

[...] l'anima, lo spirito o come altrimenti si voglia chiamare ciò che in noi viene accresciuto da un pensiero trovato tra le pagine di un libro o sulle labbra serrate di un ritratto; ciò che a volte si risveglia quando una melodia isolata e ostinata si libera da noi e prende a vagare nell'infinito trascinandosi dietro, con bizzarre movenze, il filo rosso e sottile del nostro sangue, ma che sempre sparisce quando scriviamo atti, costruiamo macchine, andiamo al circo o comunque ci dedichiamo a una delle infinite occupazioni di questo genere.
Robert Musil, Il giovane Törless
 

24 May 2016

L'anima /1

Sarebbe una bella cosa vedere la propria anima. [...]
Noi chiamiamo “anima” quello che ci anima. E non sappiamo di più, dati i limiti del nostro intelletto. [...]
Povero pedante, tu vedi una pianta che vegeta, e dici “vegetazione”, o anima vegetativa; osservi i corpi che hanno e comunicano il moto, e dici “energia”; vedi il tuo cane da caccia che sotto la tua guida impara il suo mestiere e gridi “istinto”, “anima sensitiva”; hai delle idee composte e dici “intelletto”.
Ma, di grazia, che intendi con queste parole? Certo questo fiore vegeta, ma c’è proprio un ente reale che si chiama “vegetazione”? [...]
Se un tulipano potesse parlare e ti dicesse: “è chiaro che la mia vegetazione e io siamo due esseri uniti insieme” non ti faresti beffe di quel tulipano? [...]
Vediamo i bei sistemi che la tua filosofia ha costruito su queste anime. Uno dice che l’anima dell’uomo è parte della sostanza di Dio stesso; l’altro che essa è parte del gran tutto; un terzo che essa è creata ab eterno; un altro che è fatta ma increata; altri assicurano che Dio forma le anime man mano che ne sorge il bisogno, e che esse arrivano nel momento della copulazione: “Vengono a situarsi negli animalucoli seminali”, ti grida l’uno. “No”, dice quest’altro, “esse vanno ad abitare nelle trombe di Falloppio.” “Avete torto”, viene a dire un altro, “l’anima attende sei settimane che il feto sia formato, e allora prende possesso della ghiandola pineale; ma se trova un feto che andrà a male se ne torna indietro aspettando una migliore occasione” [...]
Non meno numerose ipotesi si sono fatte sul modo in cui quest’anima potrà sentire quando sarà stata separata dal proprio corpo per mezzo del qual sentiva: come udirà senza orecchie, odorerà senza naso, e toccherà senza mani; e in qual corpo alla fine dei tempi si reincarnerà: se in quello che aveva a due anni o a ottanta; e come l’io, l’identità della stessa persona potrà sussistere; e come egualmente l’anima di un uomo diventato scemo all’età di quindici anni e morto in demenza a settanta potrà riprendere il filo delle idee che aveva nell’epoca della pubertà; e con quali espedienti un’anima che abbia avuto tagliata una gamba in Europa e abbia perso un braccio in America ritroverà quella gamba e quel braccio i quali, essendo stati trasformati in legumi, saranno nel frattempo passati nel sangue di qualche altro animale... Non si finirebbe più se si volesse rendere conto di tutte le stravaganze che questa povera anima umana ha immaginato attorno a se stessa.
Voltaire, Dizionario filosofico, alla voce “anima”.
 

17 May 2016

L'anima /0

Sull'Atlantico, un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isòtere si comportavano a dovere. La temperatura dell'aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l'oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell'anello di Saturno e di molti altri importanti fenomeni, si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell'aria aveva la tensione massima, e l'umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po' antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d'agosto dell'anno 1913.
Robert Musil, L’uomo senza qualità, capitolo 1
 
 

12 June 2012

La solitudine del pensiero

Non c’è nulla di più difficile in letteratura che descrivere un uomo che pensa. A chi gli chiedeva come facesse a inventare tante cose nuove, un grande scrittore rispose: pensandoci continuamente. E in verità si può ben dire che le idee inaspettate si presentano appunto per il fatto che le si aspetta. Sono in non piccola parte un risultato del carattere, di tendenze costanti, di ambizione tenace e di assiduo lavoro. Come deve essere noiosa questa perseveranza! Sott’altro riguardo, poi la soluzione di un problema spirituale si svolge all’incirca come quando un cane con un bastone in bocca vuol passare per una porta stretta: egli volta il capo a destra e a sinistra finché il bastone scivola dentro; e noi facciamo altrettanto, con l’unica differenza che noi non tentiamo così a casaccio, ma per esperienza sappiamo già pressappoco come si deve fare. E anche se un uomo intelligente pone nelle sue rotazioni maggior destrezza ed esperienza di un cane, lo scivolar dentro avviene di colpo e anche per lui giunge inatteso; ed egli percepisce chiaramente in sé un leggero senso di stupore stizzoso che i pensieri si sian fatti da soli invece di aspettare il loro artefice. Molta gente oggigiorno dà a quello stizzoso stupore il nome di intuizione, dopo che per molto tempo lo si è chiamato ispirazione, e credono di dovervi vedere qualcosa di superpersonale; invece è esclusivamente impersonale, cioè l’affinità e l’omogeneità stessa delle cose che si incontrano in un cervello. Quanto più il cervello è acuto, tanto meno la si nota. Perciò la meditazione, finché non è condotta a termine, è in fondo uno stato pietosissimo, una specie di colica di tutte le circonvoluzioni del cervello, e quando è finita non ha più la forma del pensiero in cui la si compie, ma già quella di ciò che si è pensato; ed è purtroppo una forma impersonale, perché il pensiero è allora volto verso l’esterno e preparato per esser comunicato al mondo. Per così dire, insomma, quando un individuo pensa, è impossibile cogliere il momento tra il personale e l’impersonale, quindi la meditazione è un tal guaio per gli scrittori, che essi preferiscono evitarla.
L’uomo senza qualità ad ogni modo stava pensando. Bisogna concluderne che, almeno in parte, ciò non era un fatto personale. E che cos’è, allora? Mondo che va e che viene; aspetti del mondo che si configurano in un cervello.
Robert Musil, L'uomo senza qualità, capitolo 28
 
Mi è tornato in mente leggendo The loneliness of making sense su BackReAction.

07 May 2009

Dubitare di tutto o credere a tutto

Douter de tout ou tout croire, ce sont deux solutions également commodes, qui l'une et l'autre nous dispensent de réfléchir.
(Henri Poincaré, La science et l'hypothèse)
 
Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispesano entrambe dal riflettere.
 

05 May 2009

Complementarietà, Contraddizioni, Bell e Bohr

Bohr elaborò una filosofia di quello che sta dietro le ricette della teoria [della Meccanica Quantistica, ndh]. Anziché essere disturbato dall’ambiguità di principio, egli sembra trovarci ragioni di soddisfazione. Egli sembra gioire della contraddizione, per esempio, tra onda e particella che emerge in ogni tentativo di superare una posizione pragmatica nei confronti della teoria. [...] Non allo scopo di risolvere queste contraddizioni e ambiguità, ma nel tentativo di farcele accettare egli formulò una filosofia, che chiamò complementarietà. Pensava che la complementarietà fosse importante non solo per la fisica, ma per tutta la conoscenza umana. Il suo immenso prestigio ha portato quasi tutti i testi di meccanica quantistica a menzionare la complementarietà, ma di solito in poche righe. Nasce quasi il sospetto che gli autori non capiscano abbastanza la filosofia di Bohr per trovarla utile. Einstein stesso incontrò grandi difficoltà nel cogliere con chiarezza il senso di Bohr. Quale speranza resta allora per tutti noi?
Io posso dire molto poco circa la complementarietà, ma una cosa la voglio dire. Mi sembra che Bohr usi questo termine in senso opposto a quello usuale. Consideriamo per esempio un elefante. Dal davanti esso ci appare come una testa, il tronco e due gambe. Dal dietro esso è un sedere, una coda e due gambe. Dai lati appare diverso e dall’alto e dal basso ancora diverso. Queste varie visioni parziali risultano complementari nel senso usuale del termine. Si completano una con l’altra, risultano mutuamente consistenti, e tutte assieme sono incluse nel concetto unificante di “elefante”. Ho l’impressione che assumere che Bohr usasse il termine complementare in questo senso usuale sarebbe stato considerato da lui stesso come un non aver colto il punto e aver banalizzato il suo pensiero. Lui sembra piuttosto insistere sul fatto che, nelle nostre analisi, si debbano usare elementi che si contraddicono l’un l’altro, che non si sommano o non derivano da un tutto. Con l’espressione complementarietà egli intendeva, mi pare, l’opposto: contraddittorietà. Sembra che Bohr amasse aforismi del tipo: l’opposto di una profonda verità rappresenta anch’esso una profonda verità; la verità e la chiarezza sono complementari. Forse egli trovava una particolare soddisfazione nell’usare una parola familiare a tutti attribuendogli un significato opposto a quello usuale. La concezione basata sulla Complementarietà è una di quelle che io chiamerei le visioni romantiche del mondo ispirate dalla teoria quantistica.
John Stewart Bell
(citato da Gian Carlo Ghirardi in Un'occhiata alle carte di Dio)

30 March 2009

hronir


Jorge Luis Borges
(foto, adattamento)
Mi hanno fatto osservare che googlando per hronir la mia ingombrante personalità impedisce di arrivare a conoscere il significato borgesiano della parola. Mi cimento, dunque, in un tentativo di riparazione, incollando qui di seguito il passo di Tlon, Uqbar, Orbis Tertius, da Finzioni, di Borges, da cui ha origine il nome hronir, nella speranza che la presenza della parola hronir nel titolo del post, oltre che del blog, e la frequente ripetizione della parola hronir nel testo — sì, sto ripetendo hronir apposta — faccia salire questo post fra i risultati della ricerca per... hronir. :)
Sì, bisognerebbe scrivere hrönir, con la dieresi sulla o, così come bisognerebbe scrivere Tlön. Ma si sa, sul web queste sottigliezze diventano una complicazione e si perdono.
Visto che ci sono, incollo anche la versione originale in spagnolo: non che conosca lo spagnolo, ma il suono di questa lingua mi piace tantissimo. La traduzione è quella di Franco Lucentini.
 
Siglos y siglos de idealismo no han dejado de influir en la realidad. No es infrecuente, en las regiones más antiguas de Tlön, la duplicación de objetos perdidos. Dos personas buscan un lápiz; la primera lo encuentra y no dice nada; la segunda encuentra un segundo lápiz no menos real, pero más ajustado a su expectativa. Esos objetos secundarios se llaman hronir y son, aunque de forma desairada, un poco más largos. Hasta hace poco los hronir fueron hijos casuales de la distracción y el olvido. Parece mentira que su metódica producción cuente apenas cien años, pero así lo declara el Onceno Tomo. Los primeros intentos fueron estériles. El modus operandí, sin embargo, merece recordación. El director de una de las cárceles del estado comunicó a los presos que en el antiguo lecho de un río había ciertos sepulcros y prometió la libertad a quienes trajeran un hallazgo importante. Durante los meses que precedieron a la excavación les mostraron láminas fotográficas de lo que iban a hallar. Ese primer intento probó que la esperanza y la avidez pueden inhibir; una semana de trabajo con la pala y el pico no logró exhumar otro hron que una rueda herrumbrada, de fecha posterior al experimento. Éste se mantuvo secreto y se repitió después en cuatro colegios. En tres fue casi total el fracaso; en el cuarto (cuyo director murió casualmente durante las primeras excavaciones) los discípulos exhumaron -o produjeron- una máscara de oro, una espada arcaica, dos o tres ánforas de barro y el verdinoso y mutilado torso de un rey con una inscripción en el pecho que no se ha logrado aún descifrar. Así se descubrió la improcedencia de testigos que conocieran la naturaleza experimental de la busca... Las investigaciones en masa producen objetos contradictorios; ahora se prefiere los trabajos individuales y casi improvisados. La metódica elaboración de hronir (dice el Onceno Tomo) ha prestado servicios prodigiosos a los arqueólogos. Ha permitido interrogar y hasta modificar el pasado, que ahora no es menos plástico y menos dócil que el porvenir. Hecho curioso: los hronir de segundo y de tercer grado -los hronir derivados de otro hron, los hronir derivados del hron de un hron- exageran las aberraciones del inicial; los de quinto son casi uniformes; los de noveno se confunden con los de segundo; en los de undécimo hay una pureza de líneas que los originales no tienen. El proceso es periódico: el hron de duodécimo grado ya empieza a decaer. Más extraño y más puro que todo hron es a veces el ur: la cosa producida por sugestión, el objeto educido por la esperanza. La gran máscara de oro que he mencionado es un ilustre ejemplo.
Secoli e secoli di idealismo non hanno mancato di influire sulla realtà. Non è infrequente, nelle regioni più antiche di Tlön, la duplicazione degli oggetti perduti. Due persone cercano una matita; la prima la trova, e non dice nulla; la seconda trova una seconda matita, non meno reale, ma meno attagliata alla sua aspettativa. Questi oggetti secondari si chiamano hronir, e sono, sebbene di forma sgraziata, un poco più lunghi. Fino a non molto tempo fa, i hronir furono creature casuali della dimenticanza e della distrazione. Alla loro produzione metodica - sembra impossibile, ma così afferma l'"undicesimo volume" - non s'è giunti che da cento anni. I primi tentativi furono sterili. Il modus operandi merita d'essere ricordato. Il direttore di una delle carceri dello stato comunicò ai detenuti che nell'antico letto d'un fiume v'erano certi sepolcri, e promise la libertà a chi facesse un ritrovamento importante. Durante i mesi che precedettero gli scavi, furono mostrate ai detenuti fotografie di ciò che dovevano ritrovare. Questo primo tentativo mostrò che la speranza e l'avidità possono costituire una inibizione; in una settimana di lavoro con la pala e con il piccone, non si riuscì ad esumare altro hronir che una ruota arrugginita, di data anteriore all'esperimento. La cosa fu mantenuta segreta e fu poi ripetuta in quattro istituti di educazione. In tre, l'insuccesso fu quasi completo; nel quarto il cui direttore morì casualmente durante i primi scavi) gli scolari esumarono - o produssero - una maschera d'oro, una spada arcaica, due o tre anfore dl coccio, e il torso verdastro e mutilato d'un re, recante sul petto un'iscrizione che non s'è ancora potuta decifrare. Si scoprì in tal modo come la presenza o testimoni a conoscenza del carattere sperimentale della ricerca, costituisca una controindicazione... Le investigazioni in massa producono oggetti contraddittori; oggi si preferiscono i lavori individuali e quasi improvvisati. La produzione metodica dei hronir (dice l'undicesimo volume) ha reso servizi prodigiosi agli archeologi. Essa ha permesso di interrogare e perfino dl modificare il passato, divenuto non meno plastico e docile dell'avvenire. Fatto curioso: i hronir di secondo e di terzo grado - i hronir derivati da un altro hronir: quelli derivati dal hron di un hron - esagerano le aberrazioni del hron iniziale; quelli di quinto, ne sono quasi privi; quelli di nono, si confondono con quelli di secondo; quelli di undicesimo, hanno una purezza di linee non posseduta neppure dall'originale. Il processo è periodico: Il hron di dodicesimo grado comincia già di nuovo a decadere. Più strano e più puro di ogni hron è talvolta l'ur: la cosa prodotta per suggestione, l'oggetto evocato dalla speranza. La gran maschera d'oro cui ho accennato ne è un illustre esempio.
Las cosas se duplican en Tlön; propenden asimismo a borrarse y a perder los detalles cuando los olvida la gente. Es clásico el ejemplo de un umbral que perduró mientras lo visitaba un mendigo y que se perdió de vista a su muerte. A veces unos pájaros, un caballo, han salvado las ruinas de un anfiteatro.
Le cose, su Tlön, si duplicano; ma tendono anche a cancellarsi e a perdere i dettagli quando la gente le dimentichi. E' classico l'esempio di un'antica soglia, che perdurò finché un mendicante venne a visitarla, e che alla morte di colui fu perduta di vista. Talvolta pochi uccelli, un cavallo, salvarono le rovine di un anfiteatro.